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Guerra preventiva

Intervista a Marco D'Eramo, giornalista

altremappe: Il concetto di 'guerra preventiva' si è fatto strada nelle ultime settimane nel linguaggio corrente che Bush sta utilizzando per giustificare un nuovo attacco all'Iraq. Come cambia questo termine, secondo te, la percezione della guerra e del nemico nell'immaginario collettivo?

D'Eramo: Oggi l'America non pensa più alle guerre come si poteva pensare al tempo della prima o della seconda guerra mondiale. È cambiato molto lo stesso modo di condurre la guerra: questo è chiaro se pensi che in Afghanistan le tende dei soldati americani hanno l'aria condizionata, o che in Kossovo le divisioni americane si erano portate dietro 50.000 cessi da campo. Te lo immagini Rommels che si portava dietro in Africa i bagni per i soldati? Quindi ai soldati di oggi non gli si possono far fare le stesse cose che facevano i soldati di Napoleone, anche perché per gli Stati Uniti, in questa fase di grande superiorità tecnologica rispetto a tutti gli altri paesi, la guerra assomiglia più ad una operazione di polizia internazionale tanto che il nemico non viene presentato come un nemico, quanto come un criminale, come un Al Capone al livello mondiale.
E sono tanti gli Al Capone che si sono succeduti: prima Fidel Castro, poi Gheddafi, il generale somalo Haidid, il mullah Omar, Bin Laden, ora Saddam Hussein e magari l'anno prossimo tocca a Khameney o a Kim Il Sung.
Ogni volta sembra che si scelga il nemico secondo questa regola e questa è anche la ragione per cui c'è consenso su questa guerra in America, che è però un consenso 'molle', nel senso che c'è consenso fino a che si tratta di un'operazione di polizia internazionale, visto che Hussein viene definito un criminale: nel momento stesso in cui questa diventasse una guerra vera io penso che le cose cambierebbero molto, il consenso su questa guerra sarebbe molto minore.

altremappe: Che intendi per 'guerra vera'?

D'Eramo: Una guerra vera è una guerra in cui ci sono due nemici che si combattono più o meno nelle stesse condizioni: l'ultima guerra vera combattuta dagli Stati Uniti è stata quella in Vietnam. Una situazione, cioè, dove c'è un nemico che resiste e che infligge perdite, dove puoi vincere e puoi perdere e non una esecuzione dall'alto, oppure dal basso come è avvenuto nel 1991 in Iraq, dove le divisioni di Saddam Hussein sono state stroncate in pochissimo tempo. Nonostante la retorica usata dall'Iraq sulla 'madre di tutte le battaglie', che avrebbe dovuto segnare una rivincita dell'Iraq nella battaglia di terra, gli americani -con i carri armati che avevano, i proiettili all'uranio e tutto il resto- hanno sbaragliato l'esercito iracheno in un tempo brevissimo. Penso che lo stesso potrebbe accadere adesso.
Guerra preventiva, quindi, viene vissuta nell'immaginario come una 'retata preventiva' o come un arresto preventivo. In questo caso, come sempre, Hollywood ha un fiuto straordinario, in particolare Spielberg: l'anno prima che ci fosse l'11 settembre Spielger aveva già in cantiere il film 'Minority Report', che ruota intorno all'ipotesi di un arresto preventivo prima che il criminale commetta il crimine. C'è quindi una vera e propria criminalizzazione del nemico.

altremappe: Ma questo atteggiamento è un fatto nuovo oppure porta solo alla luce qualcosa che da molto tempo è sottinteso?

D'Eramo: In realtà, penso che l'11 settembre ha solo accentuato delle linee di politica estera che c'erano già, delle evoluzioni che erano già in corso. Anche se non dobbiamo dimenticare che, a partire dalla guerra del Golfo del '91, si sono avute le prime grandi operazioni internazionali dopo la caduta del muro di Berlino e dopo la caduta dell'Urss. Prima questa teoria della 'guerra preventiva' non era stata enunciata in questi termini perché c'era l'Urss: nonostante questo -e senza teorizzare la guerra preventiva- gli americani hanno bombardato Tripoli e hanno ucciso la figlia di Gheddafi nei bombardamenti, anche se poi questo episodio ha avuto una reazione perversa perché poco dopo è caduto un aereo della Panam. E quante volte hanno tentato di uccidere Fidel Castro? Tantissime e ce ne sono le prove.
Ora si è presa l'abitudine di mettere delle taglie sulla testa dei 'nemici': l'anno scorso era Bin Laden -una taglia di ben 25 milioni di dollari- e ora si parla di voler fare la stessa cosa con Saddam Hussein. Dico questo per sottolineare come si dipinga anche in questo modo il nemico come un criminale comune. Ma questi episodi non sono un film nuovo: pensa che nel 1916 Pancho Villa attaccò una cittadina che si chiamava Colombus, nello stato americano del New Messico, dove era presente una guarnigione di 600 soldati americani. Fu fatto saltare un albergo, ci furono scontri a fuoco in cui morirono 17 soldati americani e un centinaio di messicani. Allora tutta la stampa americana disse che quello era il primo attacco militare straniero agli Stati Uniti dopo la guerra con la Gran Bretagna del 1812.

Esattamente lo stesso tipo di retorica di oggi che recita che quello dell'11 settembre è il primo attacco agli Stati Uniti dopo Pearl Harbour. Tornando a Pancho Villa, il presidente Wilson il giorno dopo mandò una forza di spedizione di 5.000 uomini per catturare Pancho Villa e fu emesso un manifesto con una taglia di 5.000 dollari 'dead or alive'. La cosa interessante è che la sceneggiatura si sta ripetendo in vari sensi: quella ricerca fallì come ora quella del mullah Omar e inoltre nonostante tutto non riescono mai ad ucciderli questi pericolosissimi nemici.
In un articolo che ho scritto alcuni mesi fa ho raccontato di un videogioco nel quale il giocatore insegue nelle caverne un'immagine con la barba lunga, la palandrana bianca e il turbante che fugge e che ha un aspetto minacciosissimo. Facendo questa ricerca su Pancho Villa ho scoperto che c'è una nota industria di videogames che vende su Internet il gioco 'Pancho Villa dead or alive' in cui il giocatore deve cacciare nelle montagne della Sierra un cavaliere con il sombrero. Un simbolo che ricorre spesso, insomma, quello della caccia all'uomo del pericoloso bandito internazionale.
Del resto, la taglia su Pancho Villa si inseriva in un ciclo iniziato con la guerra ispano-americana per Cuba del 1898 e che aveva visto la progressiva occupazione di tutto il Centro America da parte degli Stati Uniti: Cuba fu occupata nel 1906, il Nicaragua nel 1912, Haiti nel 1915, Santo Domingo nel 1916. E nello stesso tempo il dominio finanziario sull'America Latina cambiava di mano perché prima del primo conflitto mondiale gli investimenti diretti in capitale degli inglesi erano il triplo di quelli americani, mentre dal 1897 gli investimenti americani cominciarono a lievitare da 300 milioni di dollari fino ai 2 miliardi del 1920, ai 3,5 miliardi del 1929 e 4,7 miliardi nel 1950.
Nel ciclo che si è aperto con la guerra del Golfo del '91 sta succedendo un po' la stessa cosa, questa volta non in America Latina, ma in Medio Oriente.

altremappe: Torniamo ad oggi, infatti. Quale posto pensi che abbia, anche nella lettura che ne fa l'intera società, l'Onu nello scenario della 'guerra preventiva'?

D'Eramo: Penso che se l'attacco all'Iraq un attacco dell'Onu sarebbe in un certo senso sancito i carattere di 'retata', di operazione di polizia. D'altra parte gli Stati Uniti hanno dimostrato che del diritto internazionale non gli interessa nulla. La guerra all'Iraq si sta motivando con la necessità di disarmare un regime pericoloso: è evidente che si tratta di retorica, visto che di regimi che posseggono armi pericolose e che non sono certo più affidabili di quello iracheno, ne esistono diversi.
Ma il problema di fondo è che gli americani non vogliono una democrazia al posto di Saddam Hussein, perché la maggioranza degli iracheni sono sciiti e quindi si accorperebbero con un regime di tipo iraniano: quindi gli Usa non possono volere una democrazia, dovrà essere comunque una dittatura, una dittatura che controlla l'esercito e dunque a capo di questo governo ci dovrà essere un militare, che non deve essere un fondamentalista e quindi deve essere laico: insomma una figura identica a Saddam Hussein, ma non lui.
Se questa guerra fosse fatta dall'Onu penso che si creerebbe un precedente significativo, perché in questo caso non si dice solo di voler disarmare Saddam Hussein, ma si dichiara esplicitamente di voler cambiare il regime. Ed è questa l'affermazione che crea più problemi: mi sembra, infatti, che le trattative con l'Onu non sono tanto sugli ispettori o sul disarmo, quanto sull'obiettivo dichiarato di cambiare il regime. Una volta accettato questo precedente è chiaro che non varrebbe più il principio della sovranità nazionale.

Quello che sta succedendo è che gli Stati Uniti oggi stanno applicando a tutto il mondo quella che una volta era la strada delle aree di influenza, infatti gli Usa non hanno mai detto nulla quando l'Urss ha occupato l'Ungheria o la Cecoslovacchia, come l'Urss non ha fatto molto quando gli Stati Uniti hanno fatto cadere il governo democratico di Allende in Cile. Prima tutto questo quindi avveniva ognuno nella propria sfera di influenza e allora non c'era bisogno di parlare di 'guerra preventiva' o di cambio di regime: si mandava la Cia e si finanziava un colpo di stato, punto.
Adesso che gli Stati Uniti sono rimasti la sola superpotenza vera se facessero una guerra all'Iraq sarebbe come una dichiarazione formale di impero. Fino ad ora quello americano veniva chiamato un 'impero informale', visto che non era come quello inglese o francese, i quali prendevano formalmente possesso dei territori e li facevano diventare proprie colonie. Anche se ci sono truppe americane ovunque nel mondo -970 basi americane in moltissimi paesi- e quindi di fatto gli Stati Uniti occupano l'Italia, la Germania, l'Inghilterra, queste non sono percepite come truppe d'occupazione.
Un'impero che è informale, del resto, anche nel senso comune dei cittadini americani: solo ora i politologi, i commentatori politici hanno iniziato a lanciare la moda della 'nuova Roma': in questo senso la questione irachena sta diventando la dichiarazione della 'nuova Roma'. Anche in questo senso ci sono stati dei segni premonitori nei films: negli anni '50 tutti i colossal sull'antichità e su Roma in particolare, erano filmati da un punto di vista antiromano. Il film stava sempre con i cristiani, i barbari, i popoli sottomessi, l'imperatore romano era sempre dipinto come un cattivo, sadico, nevrotico, richiamando in continuazione una parodia di Mussolini e di Hitler, quindi lo spettatore era spinto ad identificarsi con gli avversari dell'impero romano. Pensiamo a 'Spartaco', a 'I dieci comandamenti', a 'Ben Ur' e così via.
'Il Gladiatore', del 1999, è un colossal che forse per la prima volta si situa dal punto di vista dell'impero: il messaggio è 'l'impero è una buona cosa e i barbari vanno civilizzati'. Quindi è cambiata completamente la prospettiva: addirittura alla fine c'è la menzogna della chimera che l'impero è talmente buono che si trasformerà nuovamente in repubblica. Un altro film diciamo così premonitore è 'Signs' - Segni-, che anche se brutto è indicativo, perché parlando di una storia di alieni che attaccano la terra dipinge questi alieni in maniera piuttosto originale.
Negli anni '50 in tutti i films di fantascienza gli alieni erano praticamente una metafora dei sovietici: si trattava di società collettivistiche, dove non c'era posto per gli individui, erano sempre insetti, non erano liberi e volevano rubare agli abitanti della terra la libertà, volevano 'invadere il mondo libero'. Questo il messaggio. In 'Signs' gli extraterrestri non si vedono mai, si vedono solo le loro tracce, sono dipinti in realtà come dei terroristi: attaccano con la tecnica del mordi e fuggi, sono scuri di pelle. Sono una minaccia opprimente, ma assente…

altremappe: Una minaccia invisibile che rende 'necessaria' una guerra a tutto campo…

D'Eramo: Il fatto è che nella situazione che si è determinata dalla seconda guerra mondiale in poi gli Stati Uniti dispongono di una superiorità militare e tecnologia senza pari. Basta pensare che gli Stati Uniti spendono in bilancio militare più delle successive grandi potenze del mondo messe insieme. In questo strapotere tecnologico chiunque si voglia ribellare agli Stati Uniti lo deve fare alla Bin Laden, nel senso che quando gli americani combattono limitandosi a bombardare da 25.000 metri di altezza l'unico modo per resistere, per controbatterli è quello che viene chiamato un attacco asimmetrico. E sono condizioni che hanno creato loro: questa guerra in Iraq non fa altro che accentuare la probabilità di attacchi asimmetrici. Perché non c'è dubbio che i 50.000 soldati americani, sostenuti dai bombardieri e gli elicotteri, riescano ad arrivare a Baghdad in mezza giornata e ad occuparla. Il problema è quello che dovrebbe avvenire dopo, e cioè la necessità di instaurare un regime che nelle intenzioni dovrebbe essere in grado di garantire anche lì un sistema sociale ed economico fatto sul modello di quello americano. Questo è il metodo che li guida in maniera maniacale e che incontrerà secondo me non pochi problemi in Medio Oriente.

http://www.altremappe.org/GPreventivaDEramo.htm