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IL LINGUAGGIO RADIOFONICO

Come dimostra l’attenzione di molti studiosi attuali, è importante riflettere sulla lingua della radio, sia da un punto di vista linguistico che da un punto di vista più largamente socio-culturale. A tal fine può essere utile esaminare il ruolo che ha rivestito la radio nella sua storia. Un ruolo che, da principio, è stato essenzialmente quello di catalizzatore e collante nel processo di unificazione della lingua italiana. Ricordiamo infatti che l’Italia, appena dopo l’unificazione, raggiunta a fine ‘800, si presentava estremamente eterogenea da un punto di vista linguistico, eterogeneità ereditata dalla frammentarietà geografica precedente.

Essendo quella della radio una lingua trasmessa a voce, non semplicemente scritta e leggibile, come quella della carta stampata, la sua caratteristica è quella di essere un incrocio tra scritto e parlato. All’inizio, il linguaggio radiofonico presenta caratteristiche molto vicine a quelle dell’italiano scritto, essendo fedele ad un canovaccio predeterminato e a regole - grammaticali, lessicali, di intonazione - rigide. L’italiano parlato in radio (come in generale nei media di massa – cinema, canzone e poi televisione, che hanno avuto lo stesso ruolo nella spinta all’italianizzazione del paese -) ad inizio ‘900 è l’italiano standard, epurato da inflessioni dialettali, espressioni gergali, forestierismi (uso di parole straniere). Fatto che ha contribuito notevolmente ad uniformare linguisticamente il pubblico ascoltatore, che, a prescindere dalla provenienza geografica e dalla condizione socio-culturale, si trova ad ascoltare e ad assimilare lo stesso modello di italiano standard trasmesso in radio.

Le caratteristiche descritte hanno però subito evoluzioni nel tempo, come è evidente dalla differenza del linguaggio radiofonico attuale rispetto al modello iniziale. L’anno di svolta è stato il 1975, data di irruzione nell’etere delle radio private, con la quale è coincisa l’introduzione di modelli di parlato disinvolto e colloquiale - all’insegna di un linguaggio più spontaneo, meno “scritto” e più “parlato” - ammiccante al pubblico giovanile e bidirezionale, grazie all’introduzione di novità quali la telefonata in diretta e il conseguente libero intervento dell’ascoltatore, non più passivo fruitore ma anche partecipante attivo.

In seguito al successo ottenuto da questo nuovo modello, adottato tra l’altro anche dalla televisione, la radio di stato si è vista costretta a sintonizzarsi sul target di pubblico delle radio private, trasformandosi così, progressivamente, da modello linguistico, volto ad uniformare un pubblico eterogeneo, a specchio delle varietà del repertorio linguistico italiano odierno.
LA FONTE
Rielaborazioni di Mariagrazia Minardi da Lorenzo Coveri, Forme e modelli dell’Italiano radiofonico, Università per Stranieri di Siena.

DIZIONARIO.
RIEPILOGO
  • La radio ha svolto un ruolo di catalizzatore e collante nel processo di unificazione della lingua italiana.
  • All’inizio del ‘900 l’italiano parlato in radio era l’italiano standard, fatto che ha contribuito ad uniformare linguisticamente gli ascoltatori.
  • A partire dal 1975, anno dell’irruzione nell’etere delle radio private, la lingua della radio si fa sempre più vicina al parlato.