Altrimenti

valigtitolo.gif (4949 byte) Il mondo oggi è attraversato da conflitti più radicali di quelli dell'età industriale. Si trattava allora di scontri tra classi sociali che si contrapponevano, ma in nome di valori comuni. Gli imprenditori capitalisti accusavano gli operai di pigrizia e di routine e si autoproclamavano agenti del progresso; il movimento operaio e i pensatori socialisti denunciavano viceversa gli sprechi del capitalismo, creatore di crisi e di miseria, e facevano appello ai lavoratori come ai portatori di forze produttive che dovevano essere liberati da rapporti di produzione irrazionali. Oggi, il conflitto contrappone non più soltanto attori sociali, ma culture, il mondo dell'azione strumentale a quello della cultura e del Lebenswelt.Tra loro, non vi è più mediazione possibile, non vi è più comunità di credenze e di pratiche.

Ecco perché ai conflitti sociali si sostituiscono l'affermazione di differenze assolute e il rigetto totale dell'altro. Coloro che credono, con Francis Fukuyama, nel consenso finalmente raggiunto, alla fine della storia e dei grandi dibattiti ideologici e politici, ora che i comunismi sono stati eliminati e screditati quanto i fascismi, commettono il più grande degli errori: mai i conflitti sono stati tanto globali, al punto che il mondo oggi è colmo di crociate e di lotte a morte più che di conflitti politicamente negoziabili. Da un lato vediamo affermarsi l'egemonia di un Occidente che si giudica universalista e che distrugge culture e nazioni, che condanna all'estinzione specie animali o vegetali in nome delle sue tecniche e del loro successo; dall'altro si sviluppa un anti-eurocentrismo che cade facilmente in un differenzialismo aggressivo, carico di razzismo e di odio.

La schiacciante superiorità militare e industriale dell'Occidente non deve indurre a identificarlo con la ragione e a ridurre i suoi avversari all'insensatezza o alla tradizione. In realtà, da molto tempo anche l'Occidente è abitato dal nazionalismo che, talvolta, è il difensore di una cultura, di una via d'accesso alla modernità, ma sempre più spesso non è che rigetto dell'altro e disprezzo dei valori universalistici. Sarebbe altrettanto falso ridurre a neo-tradizionalismi i movimenti che sollevano il Terzo mondo, mentre (sotto forme spesso pericolose) si cercano nuove alleanze tra modernizzazione e tradizioni culturali. arabo.jpg (36435 byte)

  Il secolo che sta per aprirsi sarà dominato dalla questione nazionale, come l'Ottocento è stato dominato dalla questione sociale. Molti paesi dell'Europa occidentale e dell'America settentrionale conoscono oggi reazioni nazionalistiche, sociali o politiche che si oppongono all'apertura della società, all'arrivo degli emigrati come all'inserimento in un insieme europeo o mondiale. Viceversa, la cultura e le imprese che si dicono globali o mondiali sono troppo spesso americane per non costituire elementi di una politica di potere o anche d'egemonia. In ogni parte del mondo, è palese la lacerazione tra un universalismo arrogante e alcuni particolarismi aggressivi. Il principale problema politico consiste e consisterà nel limitare questo conflitto totale, nel ripristinare valori comuni tra interessi contrapposti.

(A. Touraine. "Critica della modernità". Il Saggiatore, Milano 1993. Pp.375-376)


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